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LE AVVENTURE GALANTI DEL GIOVANE MOLIERE
(MOLIERE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 aprile 2007
 
di Laurent Tirard, con Romain Duris, Fabrice Luchini, Laura Morante, Edouard Baer, Ludivine Sagnier (Francia, 2006)
 
Quando un autore, e che autore, viene fatto penetrare alla viva forza della fiction all'interno delle proprie opere. In quel 1644 delle cose dello spirito che lottano per avere il meglio sugli stracci e la puzza (il film occhieggia pure dalle parti del kolossal storico) il giovane Jean-Baptiste Poquelin, in seguito simbolo sommo della letteratura francese come Molière, è ancora un commediografo spiantato; convinto oltretutto che la grandezza la si raggiunga con la tragedia piuttosto che con la commedia che gli sta decretando i primi trionfi presso il popolino. Prima di essere accolto nel castello di un ricco borghese (Fabrice Luchini) che intende carpirne i segreti della recitazione per far colpo su una giovane, regolarmente graziosa e sciocca cortigiana (Ludivine Sagnier) alla pretesa insaputa della sua signora (Laura Morante), il nostro ventiduenne scompare dalla circolazione. Un po' in prigione per debiti, un po' per via delle interminabili peregrinazioni nella provincia profonda assieme alla sua troupe, Molière lascerà un buco che i suoi biografi non riusciranno mai a colmare. Ed è approfittando di quel vuoto che gli autori del film si sono lanciati in una iniziativa che si vuole semiseria: inventare un imbroglio sentimentale, ma ancor più psicologico ed esistenziale che, prendendone a presto dei frammenti delle sue opere, riesca a spiegarne la genesi. E la ragione di un genio; quello che condurrà a IL BORGHESE GENTILUOMO (il più esplicitamente tirato in ballo), a TARTUFO, LE PREZIOSE RIDICOLE o LES FEMMES SAVANTES. Come Molière, insomma, diventerà Molière.

L'idea non era poi cosi male. Ma il guaio è che la regia, diligente e legnosa di Laurent Tirard non è di certo quella del Rohmer di LA MARQUISE D'O, e nemmeno delle RELAZIONI PERICOLOSE di Stephen Frears o del Milos Forman di VALMONT. Fabrice Luchini ha un bel rivoltarsi nel proprio immenso e sempre godibilissimo istrionismo nel ruolo più riuscito del mercante in definitiva sapiente, l'incantatore transalpino Romain Duris perdersi in dispersive occhiate languide, Laura Morante cavarsela più dei colleghi nel lasciar intravedere la tragedia dietro la farsa di quell'Impero che sta andando a rotoli.

Certo, il film ha il merito di avvicinare al cinema popolare il mito in sospetto di polverosa scolasticità con vivacità e senza volgarità. Ma senza l'eleganza e la leggerezza di un linguaggio è chiaro che ogni riferimento alla sublime raffinatezza, alla suprema preveggenza dell'intelligenza molieriana rimane un pio desiderio.


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